Perché nel dolore cronico si riduce la materia grigia corticale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 29 settembre 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La natura fisiopatologica del dolore cronico, quale processo distinto dal dolore acuto, è nozione consolidata, ma lo sviluppo di danni al sistema nervoso centrale per sofferenza algica di lunga durata è ancora un’attualità della ricerca.

La prima documentazione di un’atrofia della corteccia prefrontale indotta da dolore lombare cronico risale al 2004, quando uno studio di Apkarian e colleghi rilevava una riduzione volumetrica corticale proporzionale al tempo di durata del dolore e grosso modo corrispondente a quella prodotta dall’invecchiamento fisiologico nell’arco di 10-20 anni[1]. Nello stesso anno furono pubblicati i risultati di prove cognitive, in cui pazienti affetti da dolore lombosacrale cronico o da sindrome dolorosa regionale complessa facevano registrare prestazioni inferiori a quelle del gruppo di controllo normale[2]. La valutazione della cognizione, condotta da un gruppo del quale faceva parte lo stesso Apkarian, si basava sullo Iowa Gambling Task, un gioco che implica scelte fra condizioni che un semplice ragionamento consente di stimare imprudenti o ad alto rischio e condizioni ragionevolmente sicure. La stessa riduzione della capacità di valutare il rischio fu riscontrata da Neugebauer e Galhardo negli animali, in particolare in ratti con patologia artritica dolorosa. In questi ed altri studi simili, la fisiopatologia del difetto cognitivo era stata spiegata come un’inibizione della corteccia cerebrale da parte dell’amigdala nocicettiva iperstimolata, ma la dimostrazione dell’atrofia corticale, associata ad altri dati, è stata decisiva per ipotizzare un processo neurodegenerativo che porta al danno e al rimodellamento della corteccia prefrontale e di altre aree cerebrali implicate nell’elaborazione cognitiva e nel controllo di funzioni psichiche[3].

Il prosieguo degli studi ha dimostrato alterazioni del volume della materia grigia in varie regioni encefaliche dei pazienti sofferenti di dolore cronico, ma il dato più costante e significativo è la riduzione della massa dei corpi cellulari neuronici nella corteccia prefrontale mediale. L’importanza di tale riscontro è legata soprattutto al ruolo critico svolto da questa regione neocorticale nell’elaborazione delle componenti emozionali e cognitive del dolore cronico. Sebbene la drastica riduzione dei neuroni corticali sia stata attribuita ad un processo neurodegenerativo intrinseco nella fisiopatologia del dolore cronico, i risultati della ricerca corrente non forniscono un supporto adeguato a questa tesi. Per cercare di chiarire, al livello biochimico e cellulare, la natura della riduzione di materia grigia nella corteccia prefrontale delle persone affette da sofferenza algica cronica, Kang e colleghi hanno condotto un accurato esame delle più recenti pubblicazioni in questo campo, giungendo a delle interessanti conclusioni.

(Kang D., et al. What does the gray matter decrease in the medial prefrontal cortex reflect in people with chronic pain? European Journal of Pain - Epub ahead of print doi: 10.1002/ejp.1304, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Neuroscience Research Australia (Australia); UNSW Medicine, UNSW Sidney (Australia); School of Psychology, UNSW Sidney (Australia).

Consideriamo le stime fisiologiche correnti in anatomia del volume dell’encefalo umano.

Per un peso encefalico di 1383 g (in formalina), corrispondente ad un volume a fresco di 1316 cm3, il volume della corteccia cerebrale è 600 cm3, così ripartiti: 297 cm3 il manto corticale dell’emisfero destro, 303 cm3, quello dell’emisfero sinistro[4]. Una riduzione di volume patologica, ossia significativa rispetto alla media normale per sesso ed età, deve essere rapportata a questi valori di riferimento, anche se il calcolo in vivo è compiuto indirettamente sulla base dei dati desunti dalle immagini delle sezioni prodotte dal tomografo per la risonanza magnetica nucleare.

Basandosi sul modello del dolore cronico da stress, gli autori dello studio hanno identificato due categorie principali di alterazione per spiegare al livello cellulare e molecolare la macroscopica riduzione di materia grigia nella corteccia prefrontale mediale: 1) modificazioni della morfologia dei dendriti; 2) de-regolazione dei neurotrasmettitori.

1)      Il principale elemento di fisiopatologia cellulare consisterebbe in modificazioni strutturali dell’apparato dendritico. Tali segni patologici sono ricondotti dagli autori dello studio alla disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisi.

2)      Le alterazioni molecolari sulle quali si è concentrata l’attenzione dei ricercatori riguardano i due principali sistemi di segnalazione eccitatoria e inibitoria del cervello, ossia i neuroni che adottano quale neurotrasmettitore il glutammato, e gli interneuroni che rilasciano l’acido γ-aminobutirrico (GABA). Una regolazione alterata dei sistemi glutammatergico e GABAergico comporta conseguenze nocive, strutturali e funzionali, sulle formazioni microvascolari cerebrali locali.

Questi due ordini di processi sono considerati da Kang e colleghi alternativi alla neurodegenerazione.

Concludendo, la tesi sostenuta dagli autori dello studio indica che l’eccesso funzionale imposto dai meccanismi del dolore cronico all’asse ipotalamo-ipofisi, ne causa la disfunzione responsabile, in ultima analisi, della perdita di dendriti; e che un’altra componente importante del danno alla materia grigia corticale consisterebbe nella compromissione del microcircolo vascolare, dovuta alle alterazioni delle cellule nervose rilascianti glutammato e GABA. Tali processi sarebbero sufficienti a spiegare la riduzione volumetrica, senza la necessità che vi sia neurodegenerazione.

Il prosieguo degli studi ci dirà quanto questa tesi sia fondata.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-29 settembre 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si veda in “In Corso” G. Perrella, Dolore cronico e danno neurodegenerativo, p. 12 (versione PDF), BM&L-Italia, Firenze 2010. Si consiglia la lettura integrale di questo testo, che introduce all’argomento e riporta dati ancora attuali.

[2] G. Perrella, op. cit., p. 11.

[3] G. Perrella, op. cit., p. 12.

[4] J. K. Mai, J. Assheuer, G. Paxinos, Atlas of the Human Brain. Elsevier Academic Press, 2004.